di Andrea Patassini
Uno degli aspetti positivi della forte attenzione da parte del mondo della scuola riguardo i temi della programmazione, o di quello che oggi viene più comunemente definito coding, è che nascono e si sviluppano pratiche didattiche creative, ricche di elementi utili per riflettere sulla natura del digitale e la sua relazione con il mondo dell’apprendimento. Certo, dal momento in cui si decide di voler introdurre alcune di queste pratiche in classe torna evidente il difficile rapporto delle tecnologie con la scuola. Riecco bussare alla porta questioni irrisolte, come la mancata presenza capillare di strumentazioni digitali, o il dover fare i conti con l’assenza di connessioni veloci nelle aule scolastiche o, ancora, il rischio di dover impattare contro il muro della diffidenza verso queste attività e, più in generale, verso la tecnologia digitale applicata alla didattica. Sono problematiche che in alcuni casi possono far spegnere quelle prime scintille di curiosità e voglia di mettersi in gioco.
Eppure nonostante tali difficoltà affiorano esperienze stimolanti, un vero e proprio incoraggiamento per chi vuole tentare di approcciarsi al pensiero computazionale e alle sue opportunità all’interno delle mura scolastiche. Se si pensa alla programmazione non può che venire in mente la presenza dei computer. Di fatto le stesse pratiche didattiche dedicate a questi concetti provvedono ad avvicinare gli studenti (e gli insegnanti) alla conoscenza e all’analisi dei princìpi logici delle macchine e della conseguente applicazione nella fruizione quotidiana di pratiche digitali; e questo non è altro che il primo passaggio di un percorso molto più ricco e articolato. Chi ha già avuto l’occasione di vivere le tantissime attività dedicate al pensiero computazionale, avrà percepito come i confini siano ampi e le tematiche da affrontare molteplici.
Le attività unplugged rappresentano una ricca opportunità per chi ha voglia di esplorare i territori della didattica a confronto con i processi mentali combinati tra loro per la risoluzione di problemi e la costruzione di contenuti digitali complessi. Cosa si intende con unplugged? Tutto quello che non è collegato ad una presa elettrica e, nel caso del coding, tutte quelle pratiche di apprendimento capaci di introdurre i concetti della programmazione, dei linguaggi e delle logiche sottostanti attraverso l’adozione di supporti analogici. È il caso di Alessandro Rabbone, maestro torinese, che nel suo blog racconta un’attività didattica unplugged svolta assieme ai suoi alunni ispirato al progetto Cody & Roby su CodeWeek. L’approccio informale alle tematiche e il carattere prettamente ludico sono i due elementi che hanno convinto Rabbone a mettere a punto e proporre ai bambini un’attività unplugged capace di introdurre i concetti del pensiero computazionale. Nel post segnalato è possibile comprendere tutti i dettagli di questa interessante attività che parte dal cortile della scuola e dalla sua pavimentazione per quadrati.
Niente computer per conoscere i computer quindi. Operazioni simili, se ben progettate, conferiscono al successivo utilizzo dei computer un apporto preziosissimo. In sintonia con l’attività di Rabbone, ci sono anche le esperienze unplugged proposte per i più piccoli durante un Coderdojo romano di qualche tempo fa. Dall’immagine mostrata, è possibile comprendere come l’obiettivo principale sia sempre quello di fare uso di una dimensione tangibile e corporea all’interno di un contesto ludico. Papert definiva ciò apprendimento sintonico e, in riferimento al progetto Logo, ne offriva un chiaro esempio citando la famosissima tartaruga e le sue realizzazioni grafiche. È la stessa dimensione offerta dal progetto Cubetto, un gioco educativo messo a punto dalla startup Primo. L’aspetto che merita di essere evidenziato è l’assenza della solita contrapposizione tra digitale e analogico; attraverso il gioco e l’utilizzo del proprio corpo e dell’ambiente circostante è possibile riflettere (divertendosi) per poi rimodulare tutto ciò in chiave digitale. Nessuno steccato a dividere tali pratiche, bensì un processo del tutto naturale nel saper far dialogare analogico e digitale, come ad esempio nella esperienza didattica di Linda Ierardi.
L’uso della dimensione tangibile nel contesto didattico per esplorare e conoscere la dimensione digitale oggi è offerto da moltissimi strumenti che aprono le porte alla creatività e ad una programmazione didattica coinvolgente e stimolante. Merita un ulteriore post l’analisi e l’approfondimento di tali strumenti e soprattutto delle relative pratiche. Senza dubbio una didattica unplugged dedicata ai temi del pensiero computazionale può rappresentare un punto di vista privilegiato per capire l’architettura e la logica delle macchine e per interpretare l’ambiente circostante come un linguaggio programmabile con il quale giocare e apprendere.
L’ha ribloggato su Il Blog di Tino Soudaz 2.0 ( un pochino)e ha commentato:
Didattica, coding, e scuola
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