di Roberto Maragliano
Tra i sintomi della deriva esistenziale e culturale in atto, che colpisce al cuore università e scuola, atrofizzando la parte bambina di ogni addetto, studente o docente o altro che sia, dove per ‘parte bambina’ intendo tutto quanto si connette all’interesse per l’esplorazione delle cose, alla curiosità, al piacere di scoprire ed esperire i mondi, insomma: tra le tracce lasciate da questo (inarrestabile?) deperimento c’è la tendenza dell’editoria professionale dedicata alla formazione iniziale e continua dei docenti a proporre sempre più “manuali” e non, invece, “saggi”.
Ognuno dovrebbe essere in grado di capire la differenza tra i due tipi di prodotti, ma, se le cose procedono nella direzione che ho detto, evidentemente tale consapevolezza latita. Alla base del manuale (mi scuso per questa annotazione didascalica) c’è l’idea di un sapere razionalmente presentato nella sua sistematicità e interezza, a sua volta inclusa nell’idea che sia doveroso prima di tutto, per chi apprende, trovare mappata e marcata in modo neutro l’area di sapere cui dedicarsi. Altra cosa è il genere testuale che siamo abituati a denominare “saggio”, dove generalmente una singola porzione di sapere è esplicitamente trattata da un’esplicita angolazione e con una esplicita opzione metodologica, diverse (e apertamente presentate come diverse) rispetto a quelle di altri.
Pensare e far pensare che la conoscenza sia producibile e riproducibile in forma di manuale significa, io credo, toglierle ogni istanza di problematicità, significa appiattirla, equivale a fare di ogni provvisorio portatore di quella conoscenza non già un attore quanto uno spettatore, corrisponde ad un progetto di chiusura più che di apertura delle menti.
È anche per questa ragione che occorre, io credo, puntare seriamente e massicciamente sul web. Perché, lasciatemelo dire, la rete crea scompiglio, confusione, disorientamento. E dunque impedisce che ci si adagi sulla prospettiva, del tutto falsa, di un sapere pacato, pacificato e pacificante. Il sapere, se è sapere vero, è movimento, dinamica, dialogo, scontro/incontro di prospettive. Ingabbiandolo nel manuale gli si toglie ossigeno, identità, vita. La sequenza studio del manuale / verifica tramite testing è la tomba della scuola e dell’università. Diciamocelo.
Tanto più è vero (e doloroso) questo tema, quanto più tocca corde più profonde, misurandosi col problema totalmente attuale dell’essere vincolati al bisogno di scegliere per rispondere al dogma dell’essere felici (sul tema, vi consiglio vivamente di leggere questo contributo). Insomma, dal manuale per imparare didattica (o geografia) a quello per uscire dalla depressione il passo, ahimè, è molto breve.
E’ molto vero quello che scrive: i manuali riordinano, sistematizzano, pontificano – a volte pure male – e presumono di pacificare. La rete inquieta, ma ossigena e rinforza. Sarà il web che ci aiuterà a trovare modi per superare lo schema manuale/ verifica con test che ci accascia.
Certo, e quando lo capiranno anche i docenti aiuteranno l’editoria ad elaborare il lutto.
Lei Professore ha egregiamente espresso quello che io definisco “libri veri”: Come ho già avuto modo di scrivere, la scuola trasforma tutto in pseudo-tecnicismo asettico e, paradossalmente, detesta la tecnologia. Un’altra delle tante assurdità che si consumano ogni giorno. Grazie per questo intervento. 🙂
Dall’uso che ne fa, con la pervasiva manualistica, pare evidente che detesta anche la tecnologia della stampa.
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