Laboratorio di Tecnologie Audiovisive

Università degli Studi Roma Tre

Creatività, collaborazione, problem based learning e coding: in classe con la maestra Linda Ierardi

di Andrea Patassini

lindaHo avuto la fortuna nel corso degli ultimi mesi di poter scambiare via hangout idee e pareri con Linda Ierardi, maestra della Scuola Primaria “G. Falcone” – I. C. Argelato, in provincia di Bologna. Linda non è nuova su questo blog, lo scorso anno ci raccontò l’interessantissima attività didattica che svolse assieme ai suoi alunni dedicata all’incontro tra manipolazione e tecnologie digitali. La possibilità di poterci incontrare via rete e approfondire assieme le esperienze, le riflessioni e i progetti che riguardano le tematiche dei nostri interessi professionali è per me, ogni volta, un’occasione davvero preziosa. Terminate le chiacchierate iniziavano a ronzarmi idee e spunti per nuovi progetti; una di queste idee, maturate assieme a Linda, era quella di riassumere alcune delle tante attività didattiche da lei curate qui sul blog. È di fatto uno degli obiettivi di questo spazio: accogliere, supportare e diffondere il racconto di attività e progetti didattici condotti da insegnanti, educatori e formatori in modo da divenire esperienza condivisa. Spesso sottovalutata, la pratica di testimonianza e condivisione di quello che si fa in classe possiede un ruolo fondamentale nella crescita e nel miglioramento della scuola. Riproponendo la modalità delle nostre chiacchierate – io che faccio un sacco di domande e Linda che mi racconta pazientemente nei minimi dettagli le sue attività (e un susseguirsi di idee che iniziano a circolare) – ecco, a seguire, l’intervista a Linda. Si affrontano diversi temi come quello del problem based learning, ma anche del coding, della creatività, della collaborazione e molto altro ancora. Buona lettura.

Ciao Linda e grazie per quest’intervista, eccomi pronto con la prima domanda. Durante le nostre chiacchierate mi aggiornavi di tanto in tanto di un’attività che mi incuriosiva molto: l’organizzazione di una gita scolastica da parte dei tuoi alunni come attività didattica vera e propria. Sintetizzi bene in questo prezi l’attività. Emergono pratiche per nulla banali come la collaborazione tra pari nell’affrontare un problema reale. Utilizzi il termine problem based learning, puoi raccontarci qualcosa di più?

Ciao Andrea e grazie a te. Lo scorso anno, arrivati in quinta volevo che i bambini vivessero un’esperienza reale e autentica, che li coinvolgesse in maniera attiva e che fossero loro in prima persona i protagonisti delle attività. In genere alla fine del ciclo scolastico della primaria si fa sempre un’uscita didattica particolare. Ho quindi pensato che sarebbe stato bello lasciare organizzare tutto ai bambini. Ecco allora l’idea di un progetto che avrebbe preso gran parte dell’anno scolastico mettendo in gioco molte competenze differenti che avrebbero previsto anche l’utilizzo delle tecnologie.

Proprio quello in cui consiste il Problem Based Learning (PBL), metodologia basata su un problema reale che costituisce il punto di partenza del processo di apprendimento e prevede il coinvolgimento attivo degli studenti. Il lavoro “Andiamo in gita” è condotto in modalità BYOD Bring Your Own Device (BYOD), utilizzando il Metodo Lepida Scuola (www.lepidascuola.org). Nella sostanza, il PBL è l’atto continuo di apprendimento simultaneo su temi diversi, ottenuto guidando gli studenti ad individuare attraverso la ricerca un problema del mondo reale, sviluppando la sua soluzione con prove a sostegno della domanda e infine presentando la soluzione attraverso un approccio multimediale per mezzo di strumenti 2.0.

I bambini collaborano tra loro, lavorano in gruppi per competenze e valutano se stessi e gli altri attraverso le rubric, espressione di valutazione autentica; costruiscono poi un prodotto finale che mostra il loro apprendimento. Praticando il BYOD, i bambini hanno lavorato con i dispositivi di loro proprietà, portando da casa i tablet e i pc portatili. “Nessuno escluso” in quanto anche chi non possedeva nessun dispositivo proprio, poteva, in accordo con le famiglie, utilizzare quelli dei compagni e lavorare in gruppo.

“Andiamo in gita!” è stata un’attività multidisciplinare in cui ogni alunno si è messo in gioco sfruttando le diverse intelligenze (vedi Intelligenze multiple di Howard Gardner). Nel lavoro troviamo numerosi prodotti elaborati con dispositivi differenti e finalizzati a sviluppare innumerevoli competenze di varia natura. Utilizzare il cloud, costruire mappe concettuali, elaborare studi di fattibilità, elaborare e somministrare moduli online, tabelle, tagcloud, leggere i risultati di un sondaggio sotto forma di grafici e tabelle Excel, realizzare e salvare screenshot, ricercare immagini a tema, scattare foto per uno scopo mirato, creare effetti grafici, scrivere email utilizzando un registro di tipo formale, ricercare percorsi stradali, valutare economicamente pacchetti turistici, richiedere autorizzazioni, valutare il lavoro degli altri ed autovalutarsi.

Quello che più mi ha colpito di questa attività è il modo in cui immergi, in problemi reali e tangibili, le tecnologie che i bambini utilizzano. Si va decisamente oltre l’atto di imparare ad utilizzare una o più tecnologie, ma si applicano queste alle nostre esigenze e necessità. Sono competenze reali e non manualistiche. Come hanno reagito gli alunni a tutto questo?

Si sono da subito sentiti a proprio agio, non si trattava più di svolgere un compito “scolastico”, ma riuscivano a mettere in gioco competenze diverse da quelle richieste abitualmente, non solo quelle linguistiche e logico matematiche. Pertanto venivano percepiti come una via di mezzo tra la scuola (tradizionalmente concepita) e la vita reale di tutti i giorni. I “problemi” da risolvere non sono i vari contadini che hanno a che fare con fattorie, che probabilmente i bimbi non hanno mai nemmeno visto. Si tratta invece di situazioni in cui loro si ritrovano o potrebbero ritrovarsi quotidianamente e in cui un device e un collegamento a internet possono essere di grande aiuto.

La scuola del resto dovrebbe insegnare a vivere, guidare i cittadini del futuro, e la nostra vita ora è strettamente collegata alle tecnologie e domani lo sarà ancor di più. Non serve fingere che questi mezzi non esistano o peggio ancora demonizzarli. Il nostro ruolo di educatori è proprio quello di guidare i giovani verso un loro corretto utilizzo, nel rispetto di chi ci circonda e sfruttandoli affinché possano essere una risorsa nella vita dell’uomo.

Un altro aspetto che mi incuriosisce è la scelta della modalità BYOD per lo svolgimento dell’attività; i bambini hanno fatto uso dei propri tablet, computer e smartphone per organizzare la gita. Qual è il ruolo dell’insegnante in questa modalità?

Il ruolo dell’insegnante è soprattutto quello di mediatore, tanto nella gestione logistica dei dispositivi, quanto nella conduzione del lavoro attraverso il loro utilizzo. L’aspetto più arduo è senz’altro quello di seguire i bambini nella gestione di device di diverso genere e modello, spesso con diversi sistemi operativi. In classe infatti convivono tablet, laptop e LIM di ogni sorta, dunque Android, iOS e Windows nello stesso momento.

Non dimentichiamo poi che la mia esperienza pur essendo molto recente, si è svolta in un momento in cui la circolare n. 30/2007 del Miur ancora vietava l’utilizzo di dispositivi propri in classe ritenuti motivo di distrazione; a questo proposito con la collaborazione della nostra Dirigente Scolastica e del Consiglio d’Istituto, abbiamo modificato il regolamento interno per permettere l’utilizzo di dispositivi informatici per scopi didattici.

Il nuovo Piano Nazionale Scuola Digitale ha recepito pienamente tali esigenze, nell’ Azione #6 si legge infatti:La scuola digitale, in collaborazione con le famiglie e gli enti locali, deve aprirsi al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia a politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato”.

Nelle tante attività che svolgi, come anche questa di problem based learning, sono facilmente individuabili quelle competenze che ti consentono di innovare la didattica. Innovare significa anche sperimentare e per farlo, immagino, ci sia bisogno di un pizzico di coraggio e intraprendenza. E forse prendere in considerazione il rischio di sbagliare, sopratutto se si muovono i primi passi in qualcosa di nuovo. Qual è il tuo parere a riguardo mettendo al centro proprio la tua esperienza?

Certo, il rischio è alto e senza dubbio sarebbe molto più semplice e rassicurante seguire percorsi già consolidati, tuttavia i bambini cambiano non solo tra di loro ma anche e soprattutto in relazione al tempo in cui vivono e agli stimoli che gli provengono dalla società. Sarebbe pertanto ingiusto non mettere in gioco strategie per affrontare tali stimoli o affrontarli con soluzioni che, seppur sicure, non sarebbero le loro e quelle del loro tempo. Nessuno ti garantisce la buona riuscita. Prima di lanciarsi bisogna studiare tanto, valutare i pro e i contro e cercare di prevedere le eventuali conseguenze positive e negative delle proprie scelte.

L’appoggio delle famiglie e la loro fiducia, nonché quello della Dirigente Scolastica, hanno assecondato la mia intraprendenza. All’inizio mi sono “buttata” poi pian piano, osservando le reazioni positive a questo nuovo modo di mettersi in gioco e affrontare l’apprendimento, ho avuto conferma del fatto che stessi andando nella giusta direzione. Non ci sono cose che non rifarei, piuttosto le arricchirei dell’esperienza vissuta facendo tesoro degli eventuali errori.

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Passiamo invece all’attività didattica “C come cuore, C come coding”. Anche in questo caso ho notato la voglia di costruire ponti tra differenti ambiti disciplinari e l’intento di mescolare competenze differenti. Parliamo infatti di attività di coding ma anche di scoperta del corpo umano, in particolare del cuore. Non solo, si affronta anche il tema della prevenzione e del soccorso sanitario. Vuoi raccontarci qualcosa di più?

Come ho già detto, nella vita “reale” non ragioniamo per compartimenti stagni, ma tutto si incrocia e si contamina. Recentemente, ad un convegno di ambito scientifico, sono rimasta colpita da una delle slide proiettate sulle discipline. La citazione di R. Feynman, recitava così: “La separazione delle discipline è semplicemente un fatto di convenienza umana, un fatto insomma del tutto innaturale. La natura non è affatto interessata alle nostre separazioni artificiali, e i fenomeni più interessanti sono quelli che rompono e travalicano le barriere tra i vari campi del sapere”. In questa frase ho riconosciuto il mio modo di lavorare e di intendere l’apprendimento.

Anche in questo progetto volevo che il coding, linguaggio universale, fosse veicolo di contenuti solitamente relegati alle materie da studiare, lontano dai vissuti dei bambini. Il coding per sua natura porta con sé lo sviluppo di tantissime competenze trasversali. In questo progetto l’intento era che il coding si trasformasse in veicolo per la trasmissione di contenuti tra pari su argomenti importanti della vita di tutti i giorni.

Dallo scorso anno la nostra scuola ha deciso di devolvere parte del ricavato delle feste di Natale alla ONLUS Bentivoglio Cuore associazione di volontariato del territorio che ha come scopo la diffusione di una corretta informazione sulle malattie cardiovascolari e la loro prevenzione. In particolare la ONLUS promuove comportamenti e stili di vita finalizzati al mantenimento della salute.

La ONLUS ha così voluto premiare la nostra generosità con una serie di incontri con medici specialisti: cardiologi e dietologi sono venuti a scuola per promuovere la prevenzione nelle classi quinte; non a caso il curricolo di scienze prevede lo studio del corpo umano e degli apparati tra cui appunto quello cardiovascolare. A questo abbiamo accostato un laboratorio realizzato a scuola grazie all’iniziativa Museo in valigia del Museo del Cielo e della Terra di San Giovanni in Persiceto (Bo) dal titolo “La cellula“. L’esperto ha guidato i bambini nella costruzione manuale di una cellula dal nucleo alla membrana.

Da qui l’idea di realizzare delle animazioni/videogiochi che promuovessero comportamenti corretti per la salute anche attraverso lo storytelling e il racconto a fumetti. Nelle due ore settimanali di attività alternativa sei bambine hanno utilizzato Scratch, programma visuale ideato dal Lifelong Kindergarten Group dei Media Lab del MIT Massachusetts Institute of Technology  mirato all’apprendimento del coding. Questo gruppetto ha iniziato ad utilizzare il programma dapprima attraverso il remix di altri lavori già pubblicati in rete, poi realizzandone di propri attraverso gli stage (sfondi) e gli sprite (personaggi) già disponibili. Successivamente ha iniziato a crearne di propri.

Le tre classi quinte hanno sviluppato tre distinti progetti: il primo soccorso, il sistema cardiocircolatorio, la prevenzione. Un lavoro interdisciplinare di italiano ed educazione all’immagine con approfondimenti di scienze, educazione motoria ed alimentare mirato alla prevenzione e alle buone prassi da tenere per evitare di incorrere in malattie cardio-circolatorie. Il gruppetto di attività alternativa ha dunque lavorato a stretto contatto con i compagni di tutte le classi quinte e grazie al peer to peer le sei bimbe hanno mostrato loro come avevano programmato le diverse scene al pc. Il lavoro è terminato in giugno, alla fine dell’anno scolastico, abbiamo organizzato una mostra sul lavoro realizzato.

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Da quello che percepisco, hai inteso il coding come approccio espressivo, un modo per poter costruire e condividere contenuti. Oltre al tuo ruolo di insegnante a scuola sei anche una mentor per il CoderDojo Bologna. Questa doppia veste ti consente di poter vivere due ambiti differenti dove al centro c’è comunque l’apprendimento. Quando torni in classe cosa riporti dall’esperienza di mentor?

Principalmente quattro aspetti: l’errore, il gioco, la collaborazione tra pari e la valorizzazione delle conquiste personali. La possibilità di sbagliare e l’opportunità di imparare dagli errori: in classe cerco di trasmettere l’idea che l’errore sia fondamentale per imparare. E da esso possono nascere nuove idee inaspettate che ribaltano completamente la situazione trasformando il bambino nel “supereroe” del momento.

In aula i bimbi lavorano per gruppi, i banchi disposti ad isole favoriscono la collaborazione e il confronto, dalla contaminazione di idee ne nascono altre più interessanti. La collaborazione inoltre è un aspetto doppiamente benefico nel caso dell’aiuto tra compagni, in quanto da una parte i bimbi in difficoltà, aiutati dai propri pari, superano il timore del giudizio e del cattivo voto; dall’altra anche coloro che aiutano, si sentono valorizzati e accrescono la loro autostima. L’approccio multidisciplinare che caratterizza i nostri lavori permette inoltre di valorizzare le diverse predisposizioni e peculiarità intellettive. E in questo processo di continuo cambiamento, i ruoli di chi aiuta e di chi viene aiutato sono costantemente ribaltati e invertiti.

L’imparare giocando e divertendosi, sentendosi protagonisti: fare risorsa delle competenze dei bambini, essere aperti alle loro idee e lasciarli essere protagonisti del processo di apprendimento. Dare la giusta importanza e il giusto rilievo ai risultati ottenuti guardando agli step conquistati da ogni singolo bambino, senza standardizzare le aspettative. Si dà spazio alla voglia di mettersi in gioco e mostrare le proprie competenze senza il fine ultimo del buon voto, ma privilegiando la voglia di imparare.

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Provo ad aggiungere un ulteriore elemento a seguito di questo tuo ultimo ragionamento. Uno degli aspetti più interessanti delle esperienze di apprendimento dei CoderDojo è la possibilità di poter imparare e sbagliare con gli altri senza troppi vincoli. Ci sono i mentor certo, ma al centro c’è la bambina e il bambino che imparano cose nuove. La didattica a scuola può accogliere e applicare questo approccio?

Certo! Non dimentichiamo che la scuola è il luogo per eccellenza dove imparare e questo approccio, anche se molto distante da quello di un tempo, permette davvero ai bambini di esprimersi al meglio secondo le proprie attitudini. Allo stesso tempo è vero che a scuola la valutazione numerica limita questo aspetto e si deve fare attenzione a trasmettere ai bambini il giusto peso e l’importanza di un numero che si riferisce semplicemente ad una prestazione e non giudica ne rappresenta la loro persona. Purtroppo molti bimbi, anche i più piccoli, arrivano già carichi della responsabilità di dover fare bene, di dover “prendere 10”. La nostra società non ammette fallimenti e spesso emargina i deboli, ma nella vita di tutti i giorni non è così. Tutti sbagliamo e ci adattiamo ai cambiamenti, un mondo di esseri perfetti non esiste ed è sbagliato lasciar crescere i bambini con falsi miti. La verità è che ognuno ha le proprie capacità ed eccelle in campi diversi, il ruolo della scuola è quello di stimolare gli interessi e le attitudini di ognuno, stimolando le diverse intelligenze e favorendo la resilienza e la capacità di trovare risorse dentro se stessi e riadattarsi a situazioni differenti.

Informazioni su andreapatassini

Andrea Patassini detto Patassa si occupa di tecnologie per l'apprendimento, e-learning, coding e pensiero computazionale. Appassionato di fumetti (in tutte le salse), deve capire come far entrare in libreria tutti i numeri del Topo.

Un commento su “Creatività, collaborazione, problem based learning e coding: in classe con la maestra Linda Ierardi

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Questa voce è stata pubblicata il 6 aprile 2016 da in Uncategorized con tag , , , , , , , .

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