Laboratorio di Tecnologie Audiovisive

Università degli Studi Roma Tre

Il digitale a scuola raccontato da Woody e Buzz Lightyear

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di Andrea Patassini

Lo scorso Natale ho ricevuto per regalo questo libro, Verso la creatività e oltre di Ed Catmull. In quel titolo c’è una citazione abbastanza esplicita ad una delle frasi più azzeccate del film animato Toy Story, una pietra miliare della Pixar e più in generale del cinema di animazione 3D. A pronunciarla è Buzz Lightyear, uno dei personaggi chiave della pellicola, quando spiega le sue ali di plastica e pronuncia: “verso l’infinito e oltre!”. Vi ricordate la scena? La pubblico qui sotto.

Visto lo scettiscimo di Woody? Notato lo stupore e l’entusiasmo degli altri, compreso quello dello splendido Mr. Potato? Per Woody, il pupazzo cowboy, lo space ranger dalle finte ali sta bluffando, tutti loro sono dei semplici giocattoli privi di qualsiasi talento particolare; per gli altri personaggi c’è invece qualcosa di stupefacente in quel rocambolesco volo. Chi ha ragione? Difficile dirlo. Senza dubbio l’approccio di Woody sembra essere quello più razionale, mentre Buzz Lightyear prova a guardare oltre il semplice dato di fatto e offre un punto di vista diverso. In quella scena si può trovare buona parte dei ragionamenti offerti da Catmull, cofondatore della Pixar Animation Studios, una realtà capace di rimodellare costantemente l’immaginario collettivo grazie ai film realizzati. Ci sono spunti di riflessione interessantissimi nel suo libro, utili a comprendere come far nascere e crescere gruppi di lavoro fondati sulla creatività, capaci di ottenere risultati sorprendenti attraverso l’impegno, la passione e la capacità di risolvere problemi con intelligenza .

Leggendo il libro ho individuato alcuni passaggi decisamente in linea con le tematiche della scuola e, più in particolare, con le riflessioni attorno la riformulazione delle pratiche didattiche. Su tali passaggi ho provato a costruire una breve considerazione.

Nel 1972 Catmull studiava presso il dipartimento di grafica computerizzata dell’Università di Utah. A quel tempo si lavorava a produrre algoritmi capaci di riprodurre le prime immagini digitali a tre dimensioni: era una vera e propria frontiera per un campo considerato ancora allo stadio embrionale. Catmull realizzò un breve cortometraggio dal titolo Hand, dove riproduceva in 3D una mano e i suoi movimenti. Si trattava del primo filmato realizzato in computer grafica, un progetto del tutto innovativo.

L’autore racconta come uno dei professori, tale Sutherland, lo spinse a presentare il suo lavoro di ricerca agli studios della Disney; quelle sperimentazioni, a detta del suo prof, sarebbero interessate all’industria del cinema. Va specificato che all’epoca nessuno aveva idea di cosa fosse il modelling 3D e nel campo cinematografico l’animazione era esclusivamente realizzata a mano da artisti eccezionali. Catmull ricorda che “il professore Sutherland era solito ripetere che i suoi studenti gli piacevano perché non sapevano cosa fosse l’impossibile”, e anche per questo decise di mandarlo alla Disney (che non a caso inizialmente non comprese le potenzialità della grafica 3D applicata al cinema di animazione). Oltre ad ammirare il lavoro pioneristico di Catmull, non posso fare a meno di evidenziare il ruolo per nulla secondario del suo prof. Insomma, è anche grazie a quel docente orientato a scovare e promuovere le capacità dei suoi studenti se nel lontano 1972 venne presentata, di fronte a una platea di informatici sbalorditi, una mano tridimensionale realizzata in computer grafica. In chiave pedagogica questo piccolo aneddoto può far nascere utili riflessioni sul ruolo dell’insegnante e del rapporto che instaura con i suoi studenti; della ricerca e della valorizzazione delle qualità di ogni singolo studente; dei processi di apprendimento capaci di individuare tali qualità e dell’importante lavoro dell’insegnante nel cercare di farle emergere, meglio definirle… insomma, valorizzarle.

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Ed Catmull davanti la Pixar Animation Studios

 

La relazione tra digitale e scuola solitamente appare come uno dei nodi più complessi da sciogliere. Quando ci si trova a comprendere la natura della questione, si riscontra con una certa di frequenza la riluttanza al cambiamento. Catmull si domanda: “di che cosa si ha davvero paura quando si rifiutano i cambiamenti?” e prova ad elencare e descrivere alcuni fattori che nel corso della sua esperienza professionale ha incontrato. Il più classico dei fattori è il fastidio per la fatica da affrontare quando si tenta di conoscere qualcosa di nuovo. È un atteggiamento facilmente riscontrabile quando si affronta l’introduzione di alcuni processi del digitale nella didattica. Comprendere interfacce e caratteristiche degli strumenti è il primo scoglio da superare. Tutto sta nella voglia di mettersi in gioco e spenderci sopra un pizzico di curiosità e buona volontà. Ma attenzione, il cambiamento non può passare per la sola acquisizione di competenze tecniche. Catmull aggiunge dell’altro: “per molti, cambiare è un segno di debolezza, come se si ammettesse che non si sa quello che si sta facendo”. E qui si entra nel vivo della questione, se rapportiamo tutto questo alle questioni che ci riguardano. Le difficoltà della scuola non sono di ordine prettamente tecnico, ma prima ancora culturale. Luca De Biase in un suo post dedicato all’analfabetismo digitale del nostro paese indica principalmente un piano di intervento per ridurre il gap culturale, così da poter “diffondere la cultura digitale per liberare le potenzialità delle persone e non semplicemente per ingrandire il mercato digitale”.

“Il rifiuto del cambiamento” scrive Catmull “è mosso da interessi personali, ma ancor di più dalla scarsa consapevolezza delle nostre capacità e dei nostri limiti. Quando impariamo a conoscere un sistema, in genere diventiamo ciechi ai suoi difetti oppure, se li notiamo, li consideriamo troppo complessi o radicati per pensare di cambiarli”. Mi sembra una dinamica pienamente riscontrabile nella scuola. L’opposizione al cambiamento cosa comporta? Catmull prova a descrivere cosa accadrebbe nel caso della Pixar: si soffocherebbe l’impulso creativo. E per la scuola? Più ci penso e più rivedo nella diatriba sui mutamenti digitali della scuola le posizioni di Woody e Buzz Lightyear qui sopra descritte. Entrambi assumono posizioni distanti: c’è il cowboy acuto osservatore dello stato presente delle cose, ma incapace di andare oltre i limiti attuali; e poi c’è lo space ranger che fa pieno affidamento alle proprie potenzialità tecniche, ma vede in esse l’unica ragione di affermazione e di soluzione di problemi. Servirebbe l’acutezza dell’uno e il coraggio dell’altro.

Informazioni su andreapatassini

Andrea Patassini detto Patassa si occupa di tecnologie per l'apprendimento, e-learning, coding e pensiero computazionale. Appassionato di fumetti (in tutte le salse), deve capire come far entrare in libreria tutti i numeri del Topo.

2 commenti su “Il digitale a scuola raccontato da Woody e Buzz Lightyear

  1. soudaz
    25 febbraio 2015

    L’ha ribloggato su Il Blog di Tino Soudaz 2.0 ( un pochino)e ha commentato:
    Complimenti a AP, molto chiaro e interessante!

  2. Vincenza
    25 febbraio 2015

    L’ha ribloggato su chiacchiere pedagogichee ha commentato:
    “verso l’infinito e oltre!”. Woody, Buzz Lightyear e i docenti neghittosi

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Questa voce è stata pubblicata il 24 febbraio 2015 da in Uncategorized con tag , , , , , , , , , .

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